Quella difficile conciliazione

Quella difficile conciliazione

Lo scoglio più difficile da superare sembra presentarsi sin da subito, con l’arrivo del primo figlio. In altri termini, non è, come ci si aspetterebbe, la «quantità» di lavoro materno a determinare il conflitto (da due figli in poi) ma il passaggio stesso alla maternità. Anche le madri che lavorano part-time presentano le difficoltà di conciliazione: secondo una ricerca Istat del 2015 crescono rispetto al 2005 le madri che pur lavorando a tempo ridotto dichiarano problemi di conciliazione famiglia-lavoro (29,4% nel 2012, 22,1% nel 2005). La mancanza di una rete di supporto, nella stragrande maggioranza dei casi, costringe le madri ad abbandonare il lavoro, a riprova che queste non riescono a trovare nella risposta istituzionale, nei servizi sul territorio e negli strumenti messi a disposizione dalle aziende un valido sostegno alla gestione della famiglia. Si delinea così un doppio fronte di complessità nella conciliazione: quello personale, psicologico ed esistenziale e quello della gestione della realtà.

Due sono gli assunti di base dai quali partire per iniziare a costruire non tanto una impossibile «conciliazione perfetta», ma – parafrasando le parole di un noto psicologo, che la applicava alle madri – una «conciliazione sufficientemente buona». Il primo è che non esiste possibilità di una buona conciliazione concreta, logistica e operativa (che definiamo esterna: verso l’azienda, la società, gli altri attori presenti nel sistema) se non c’è stata a monte una profonda e serena conciliazione interna. Figli e lavoro, asili e carriera, tate e nonni stanno insieme nella realtà se prima possiamo tenerli insieme nella nostra idea di realtà, nel nostro immaginario e nella nostra alchimia personale. Ci si può avvalere delle migliori strategie di delega, di un’organizzazione minuziosa e puntale delle giornate delle mamme e dei loro bambini, ma se non c’è stata prima una legittimazione dei desideri delle donne nel loro nuovo ruolo di madri e professioniste, per loro e per i loro figli, anche la miglior orchestrazione poggerà su fondamenta poco stabili, che vacilleranno inesorabilmente sotto il peso di mille sensi di colpa all’affacciarsi delle prime, normali problematicità.

Le aziende, ma anche la società, non potranno ancora a lungo ignorare tutto ciò e dovranno presto attrezzarsi per accogliere le esigenze di bilanciamento vita/lavoro di un numero sempre crescente di persone/lavoratori. Il rischio, se non dovessero adoperarsi in tal senso, è di privarsi a lungo andare di una fetta di talenti (mamme lavoratrici, ma anche millennial e nuovi padri) che sempre con maggior fatica riescono ad accettare modelli organizzativi e di lavoro costruiti su vecchie regole che premiano il presenzialismo sul luogo di lavoro anziché il raggiungimento degli obiettivi. Un altro passo importante e utile da compiere è quello di comprendere e gestire dentro e fuori di sé quel sistema di attese e di sguardi – ovvero l’insieme delle pressioni più o meno dirette e consapevoli, alcune reali altre immaginarie – dentro il quale si è inserite e a cui, in qualche modo, le madri sentono di dover far fronte. Gli attori di questo sistema sono sempre molteplici. In primo luogo c’è il figlio neonato con le sue richieste oggettivamente pressanti, che nei suoi primi mesi di vita dipende in tutto e per tutto dalla madre ma che, anche in seguito e per tutta la prima infanzia, reclama attenzioni e cura. Le sue sono le attese e le richieste più immediate e di decodifica piuttosto semplice, se non fossero poi complicate (come abbiamo ben visto sopra) dalle proiezioni della madre stessa, spesso impegnata a sentirsi e a interpretare il ruolo della «buona madre».

Tratto da Genitori al lavoro – L’arte di integrare figli, lavoro, vita, di Laura Girelli e Adele Mapelli

Sarcina Antonio

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