Genere e sesso incidono sui rischi di salute e sicurezza legati alla professione svolta?

Genere e sesso incidono sui rischi di salute e sicurezza legati alla professione svolta?

In Italia, con l’emanazione del D.Lgs. 81/08 si introduce una concezione nuova di salute e sicurezza sul lavoro, non più ”neutra” ma in grado di considerare le “differenze di genere” in relazione alla valutazione del rischio e alla predisposizione delle misure di prevenzione. Nella norma viene sottolineato come la probabilità che si produca un’alterazione dello stato di salute non dipende solamente dalla natura e dall’entità dell’esposizione ma anche dalle condizioni di reattività degli esposti.

Vengono così individuate delle categorie di lavoratori che potrebbero essere maggiormente suscettibili ai rischi lavorativi in base ad alcuni fattori quali l’età, il sesso, l’origine etnica, la posizione contrattuale e le disabilità.

Però,a fronte di una legge che stabilisce la tutela della salute nei luoghi di lavoro orientata al genere, le indicazioni richiamate nel D.Lgs 81 non sempre risultano di facile applicazione.

L’approccio di genere qui considerato prende in considerazione diversi fattori che didatticamente vengono ripartiti in due gruppi, definiti “sesso” e “genere” (purtroppo la ridondanza del termine crea molta confusione). Il “sesso” si riferisce alle differenze biologiche (anatomiche, ormonali e fisiologiche) che contraddistinguono l’essere maschio o femmina. Il “genere” si riferisce alla costruzione sociale della mascolinità e della femminilità riferendosi a tutti i condizionamenti socio-culturali che portano a definire ruoli lavorativi, sociali e familiari diversi per uomini e donne. 

Come inserire i fattori inerenti al “sesso” e “genere” nella valutazione del rischio occupazionale?

Per esempio, tra uomini e donne esistono numerose differenze nell’assorbimento, nel metabolismo e nell’eliminazione degli agenti chimici che, a parità di esposizione, possono modificare il rapporto dose/effetto, diversamente conosciuto come “soglia di esposizione”. I limiti espositivi sono stati finora elaborati in modalità “neutra” e sebbene siano cautelativi – molto al di sotto della dose in grado di indurre danni – non rappresentano soglie universalmente valide, potendo variare in base al sesso, a fattori genetici e agli stili di vita. 

Altro aspetto organizzativo che dovrebbe essere considerato riguarda il lavoro domestico e di cura familiare, spesso sbilanciato tra il genere femminile e maschile, creando, soprattutto per le donne, un doppio carico lavorativo che, in Italia, sopperisce all’assenza di un idoneo sistema di welfare.

Da quanto fin qui detto, risulta evidente che i presupposti metodologici in uso per promuovere la salute e la sicurezza occupazionale necessitino di un’ampia revisione critica per promuovere l’equità di genere. 

Di Sarcina Antonio

Sarcina Antonio

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